Volatilità dei mercati: ecco cosa sta accadendo e come si muoveranno le Banche

Pubblicato da Luca M -

Quel che è avvenuto nelle ultime settimane sui mercati azionari (Italia e non solo), conferma quanto l’inizio del 2016 sia intriso di elevata volatilità. E a nulla sono serviti i pochi rimbalzi tecnici intercorsi tra un calo e l’altro: l’impressione generale che è il trend complessivo delle Borse globali sia orientato decisamente al ribasso, con qualche settore in grado di compiere immersioni ben più negative della media (banche, ad esempio).

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Ad ogni modo, come sempre accade, le difficoltà sono figlie di avvenimenti più remoti nel tempo: l’attuale fase di calo dei listini è iniziata probabilmente in piena estate, quando la Cina ha di fatto sostanzialmente svalutato lo yuan. Da lì in poi le piazze finanziarie hanno cercato di recuperare il terreno perduto, ma a dicembre si è verificata l’ennesima delusione, con la Bce (che ha poi avuto il merito di intervenire con dichiarazioni di supporto a gennaio), che si è distanziata in modo radicale dalla politica monetaria Fed, senza intraprendere le dovute mosse per poter affermare una maggiore attesa proattività in merito. E così, mentre dall’altra parte dell’Oceano Atlantico l’istituto monetario statunitense era impegnato a rialzare i tassi di interesse di riferimento dopo una lunga pausa iniziata nel 2006, la Bce deludeva le attese degli investitori che auspicavano un “nuovo” quantitative easing, più incisivo del precedente. Quel che invece ha fatto l’istituto di Draghi è stato quello di allungare l’attuale piano di acquisti da 60 miliardi di euro al mese, indirizzando alle Borse un segnale non troppo convincente.

A complicare lo scenario attuale sono poi intervenuti altri dati. Da una parte, le difficoltà economiche della Cina, non più in grado di reggere l’impetuoso trend di crescita che aveva invece contraddistinto il proprio Pil nello scorso decennio. Dall’altra parte, il crollo dei prezzi del petrolio. In mezzo, l’introduzione del bail-in, la nuova regola comunitaria che prevede che in caso di salvataggio degli istituti di credito possano essere interessati direttamente azionisti, obbligazionisti e correntisti (sopra i 100 mila euro), e il crescente clima di tensione internazionale.

Ora, sancito che probabilmente la crisi attuale sta scontando degli effetti fin troppo negativi sui mercati di Borsa – e perfino su quello italiano, che è sì sbilanciato sul comparto bancario, ma è ben più solido di quanto si dica – l’attenzione è spostata principalmente sulle mosse delle banche centrali che, come abbiamo avuto modo di toccare con mano anche negli ultimi giorni, sono rimasti tra i pochi player in grado di orientare le forze di mercato.

In tal proposito, giova segnalare come poche ore fa alcuni membri del Consiglio della BCE abbiano ribadito che il proprio istituto monetario potrebbe presto rivedere il grado di stimolo monetario: il “presto” guarda già a marzo ma, nel contempo, tale auspicio è stato accompagnato dall’invito (chissà quanto riuscito) a non alimentare attese irragionevoli. Probabilmente tale invito è frutto di quanto si è potuto assistere a dicembre, quando le aspettative di mercato diventarono eccessive e, in parte, non razionali. A proposito di inviti, dallo stesso Comitato è arrivato altresì il suggerimento a non guardare in maniera eccessivamente preoccupante la dinamica inflazionistica qualora questa dovesse scivolare in territorio negativo per qualche mese nella prima parte del 2016: la BCE si attende comunque un’inflazione media positiva per il 2016, per quanto ancora lontano dai propri target.

In questo ambito, il capoeconomista BCE Praet qualche giorno fa ha esplicitamente ricordato come la bassa inflazione sia l’effetto di un regime di bassa crescita, e che la bassa crescita è a sua volta estremamente vulnerabile, anche a causa dei nuovi rischi in emersione (il principale, dichiarato, è il rallentamento dei paesi emergenti). Di qui, l’impulso a cercare “nuove soluzioni”, peraltro cavalcato da alcuni membri del comitato esecutivo BCE: quali siano queste nuove soluzioni non è dato saperlo, ma è chiaro che si interverrà anche sensibilizzando i singoli Stati a premere il piede sull’acceleratore delle riforme strutturali orientate alla produttività, degli investimenti, e di un maggiore impegno politico a completare l’unione economica e monetaria. Non facile, ma si proverà.

Per quanto infine concerne la voce più autorevole, nell’audizione al Parlamento europeo Mario Draghi ha esplicitamente insistito su temi strutturali: ha ad esempio chiesto un’ulteriore armonizzazione delle regole di supervisione, un’applicazione coerente della BRRD, un meccanismo europeo di garanzia dei depositi e un meccanismo pubblico comune di salvaguardia per il Fondo Comune di Risoluzione. Per quanto concerne il tema forse più atteso, legato alla politica monetaria, Draghi ha detto solo che a marzo forse si procederà con il riesaminare e forse riconsiderare il proprio orientamento.

E la Fed? Dal Board dell’istituto monetario americano, Fischer ha dichiarato che per il momento è molto difficile cercare di valutare l’impatto sull’economia USA della turbolenza sui mercati internazionali e dell’incertezza sull’evoluzione in Cina. Dunque, se questi sviluppi aleatori condurranno a un restringimento delle condizioni finanziarie, il risultato potrebbe essere il rallentamento dell’economia globale e, di qui, una influenza negativa sulla crescita e sull’inflazione negli Stati Uniti.

Insomma, per il mese di marzo, periodo in cui alcuni analisti puntavano a un nuovo rialzo dei tassi di interesse di riferimento, non c’è ancora niente di deciso. A nostro giudizio, prevarrà la cautela. E, dunque, niente rialzo tassi Fed a marzo, mentre esistono ancora spiragli per un rialzo ad aprile.

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