I cinque parametri di Maastricht (parte 2)

Adesso vediamo di quantificare e di definire un po’ meglio i parametri di Maastricht:
1) Tasso di inflazione: non deve essere superiore a 1,5% rispetto alla media dei tre Paesi migliori. Il tasso di inflazione non viene quindi individuato in valore assoluto, ma in valore relativo, tenendo conto ovviamente del fatto che i tre paesi migliori sono quelli con il tasso di inflazione più basso. Quindi in sostanza si calcola il tasso di inflazione in tutti paesi dell’unione, si prendono i tre migliori, si fa una media, si aggiunge 1,5% ed il risultato ottenuto è il valore che non  deve essere superato. Esiste un certo rigore a questo proposito, infatti nel 2009 la Lituania aveva tutti gli altri parametri a posto, ma questo era superiore del 0,1%. Con questa soglia non fu ammessa e a tutt’oggi è ancora fuori. Ma perché si tiene conto del dato in valore relativo e non assoluto? Perché se ipotizzassimo per assurdo che in un paese l’inflazione sia del 20% che in un altro sia altrettanto, entrambi i paesi avranno problemi per quanto riguarda la dinamica inflazionistica, ma per quanto riguarda la competitività del primo nei confronti del secondo non cambia nulla: quello che conta è l’inflazione relativa, non assoluta.
2) Tasso di interesse: non deve essere superiore del 2% rispetto alla media dei tre paese migliori. Questi sono i paesi che hanno il tasso di inflazione più basso, non il tasso più basso. Tuttavia, la maggior parte delle volte, i paesi che hanno l’inflazione più bassa sono anche quelli che hanno il tasso di interesse più basso. Anche in questo caso il confronto deve essere espresso in termini relativi e non assoluti.
3) Rapporto disavanzo pubblico/PIL: deve essere pari o inferiore al 3%. In Italia al tempo della stipula dell’accordo, questo dato il 12%. Perché il 3%? Questa cifra può essere collegata agli investimenti pubblici: questi sono il valore degli edifici, delle strada, tutto ciò che rappresenta nuova costruzione. Normalmente, se andiamo a vedere quanto pesano gli investimenti pubblici mediamente si avvicinano al 3%; e se diciamo che il rapporto massimo del disavanzo su Pil deve essere massimo il 3% cosa diciamo implicitamente? Si ammette chelo stato si possa indebitare perché quella misura corrisponde agli investimenti. Quindi fare debiti per investire, ha senso; se si decide di destinare tali debiti alla spesa corrente allora non va bene.
4) Rapporto debito pubblico/PIL: non deve essere superiore al 60%. La spiegazione di questa cifra è molto più banale della precedente perché il 60% è la media dei rapporti debito pubblico /PIL dei paesi dell’Europa nel 1992 quando è stato firmato il trattato di Maastricht. L’elemento aggiuntivo: quando l’Italia ha firmato questo dato oscillava tra il 120% – 130%. Come ha fatto quindi a riuscire ad entrare? La ragione è che la formulazione di questo parametro è del tutto elastica ed interpretabile (entro certi limiti ovviamente).
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1) Tasso di inflazione: non deve essere superiore a 1,5% rispetto alla media dei tre Paesi migliori. Il tasso di inflazione non viene quindi individuato in valore assoluto, ma in valore relativo, tenendo conto ovviamente del fatto che i tre paesi migliori sono quelli con il tasso di inflazione più basso. Quindi in sostanza si calcola il tasso di inflazione in tutti paesi dell’unione, si prendono i tre migliori, si fa una media, si aggiunge 1,5% ed il risultato ottenuto è il valore che non  deve essere superato. Esiste un certo rigore a questo proposito, infatti nel 2009 la Lituania aveva tutti gli altri parametri a posto, ma questo era superiore del 0,1%. Con questa soglia non fu ammessa e a tutt’oggi è ancora fuori. Ma perché si tiene conto del dato in valore relativo e non assoluto? Perché se ipotizzassimo per assurdo che in un paese l’inflazione sia del 20% che in un altro sia altrettanto, entrambi i paesi avranno problemi per quanto riguarda la dinamica inflazionistica, ma per quanto riguarda la competitività del primo nei confronti del secondo non cambia nulla: quello che conta è l’inflazione relativa, non assoluta. 
2) Tasso di interesse: non deve essere superiore del 2% rispetto alla media dei tre paese migliori. Questi sono i paesi che hanno il tasso di inflazione più basso, non il tasso più basso. Tuttavia, la maggior parte delle volte, i paesi che hanno l’inflazione più bassa sono anche quelli che hanno il tasso di interesse più basso. Anche in questo caso il confronto deve essere espresso in termini relativi e non assoluti.
3) Rapporto disavanzo pubblico/PIL: deve essere pari o inferiore al 3%. In Italia al tempo della stipula dell’accordo, questo dato il 12%. Perché il 3%? Questa cifra può essere collegata agli investimenti pubblici: questi sono il valore degli edifici, delle strada, tutto ciò che rappresenta nuova costruzione. Normalmente, se andiamo a vedere quanto pesano gli investimenti pubblici mediamente si avvicinano al 3%; e se diciamo che il rapporto massimo del disavanzo su Pil deve essere massimo il 3% cosa diciamo implicitamente? Si ammette chelo stato si possa indebitare perché quella misura corrisponde agli investimenti. Quindi fare debiti per investire, ha senso; se si decide di destinare tali debiti alla spesa corrente allora non va bene. 
4) Rapporto debito pubblico/PIL: non deve essere superiore al 60%. La spiegazione di questa cifra è molto più banale della precedente perché il 60% è la media dei rapporti debito pubblico /PIL dei paesi dell’Europa nel 1992 quando è stato firmato il trattato di Maastricht. L’elemento aggiuntivo: quando l’Italia ha firmato questo dato oscillava tra il 120% – 130%. Come ha fatto quindi a riuscire ad entrare? La ragione è che la formulazione di questo parametro è del tutto elastica ed interpretabile (entro certi limiti ovviamente).


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