Diffusione e monitoraggio del rating – parte 3

Pubblicato da Luca M -

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Per completare il discorso, è ancora importante dedicare un po’di spazio all’analisi di quanto il rating sia diffuso ed utilizzato in diverse aree geografiche. Le prime agenzie specializzate sono nate negli Stati Uniti e tuttora questo è il paese in cui il servizio è più radicato, grazie alla sua tradizione ormai quasi secolare.

La prima valutazione di rating risale infatti al 1909 quando John Moody pubblicò uno studio intitolato “Analysis of railroad investments” in cui introdusse la metodologia e la scala di valutazioni ancora oggi in uso. Negli anni successivi, cominciarono la propria attività e si svilupparono rapidamente anche gli altri protagonisti attuali del settore: la Fitch Investors Serivce, nei primi anni ’20, e la Poor’s Publishing Coroporation, divenuta Standard & Poor’s nel 1941 a seguito della fusione con la Standard Statistics Company.

Il vero e proprio salto di qualità nell’espansione del settore risale al 1938, quando le autorità di vigilanza statiunitensi decisero di usare il rating come strumento di controllo sul sistema bancario, inducendo per tale via un forte aumento nella domanda del servizio. In particolare, si stabilì chele banche potessero acquistare obbligazioni solo se dotate di una livello minimo di valutazione creditizia, assegnato da un’agenzia specializzata ufficialmente riconosciuta. Al di fuori degli Stati Uniti, la diffusione del rating è invece iniziata più tardi, nei primi anni ’70, ed aveva avuto inizialmente un ritmo  molto rallentato. Basti dire che, ancora nel1990, il numero di emittenti europei valutato da S&P’s non superava le 100 unità, con una nettissima prevalenza di prenditori investment – grade.

Gli ultimi due decenni sono stati però seganti da una netta svolta. La domanda di rating, da parte di emittenti pubblici e privati non statunitensi, ha iniziato ad espandersi rapidamente e a differenziarsi, includendo una quota crescente di prenditori di alto profilo di rischio.

A questo sviluppo accelerato ha sicuramente contribuito l’atteggiamento delle autorità di vigilanza che hanno deciso, in molti paesi, di includere il rating tra gli strumenti utilizzati per la misurazione d il controllo dei rischi assunti dagli intermediari finanziari.

La vera e propria consacrazione è venuta nel Nuovo Accordo di Basilea sul Capitale che ha riconosciuto un grandissimo rilievo alle valutazioni di rating formulate dalle agenzie specializzate, facendo ruotare intorno ad esse la determinazione del coefficiente di solvibilità (ovvero dell’ammontare minimo di patrimonio che una banca deve avere) nel cosìddetto approccio standardizzato.

Parallelamente, il maggior numero diretto delle imprese private per il finanziamento delle proprie attività ha generato di per sé un significativo aumento “spontaneo” delle richieste di valutazione. Come già accennato, in questo quadro estremamente roseo, la crisi dei mutui subprime ha rappresentato un vero e proprio terremoto per il settore e si è sviluppato un intenso dibattito sulle responsabilità da attribuire alle agenzie di rating, nonché sulle misure di risanamento necessarie ad evitare fenomeni di abuso in un futuro. Infatti, una rilevante quota di titoli provenienti da operazioni di cartolarizzazione era corredato, al momento dell’emissione, da un’ottima valutazione di rating.

A partire dall’estate del 2007 ed in misura crescente una serie impressionante di revisioni al ribasso dei giudizi formulati, sollevando ovviamente forti dubbi sull’accuratezza delle analisi effettuate e sulla possibilità che le valutazioni iniziali potessero essere viziate in modo particolare da conflitti di interesse.  In nodo centrale della questione risiede ancor una volta nelle dimensioni eccessive assunte dal fenomeno della cartolarizzazione dei crediti.

Gli introiti derivanti dalla valutazione di tali operazioni sono infatti progressivamente lievitati, divenendo la voce più consistente del conto economico delle agenzie di rating. Valutazioni più rosee del dovuto possono dunque aver trovato stimolo nel timore di perdere terreno in un affare di proporzioni colossali.

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