Il dollaro statunitense si è mantenuto tonico nella mattinata di mercoledì, spingendosi vicino ai suoi livelli più alti delle ultime due settimane, sostenuto da un clima di rinnovata tensione commerciale e dall’attesa per la pubblicazione dei verbali della Federal Reserve.
Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, che ha minacciato nuove tariffe del 50% sulle importazioni di rame, hanno rafforzato la percezione del biglietto verde come bene rifugio, portando il Dollar Index a guadagnare lo 0,1% a quota 97.267, dopo aver già toccato un picco martedì.
Il dollaro beneficia dell’incertezza globale e dell’attesa per la Fed
Il contesto attuale è dominato dalle mosse aggressive della Casa Bianca sul fronte commerciale. Dopo aver annunciato dazi maggiorati sulle importazioni da 14 Paesi, tra cui Giappone e Corea del Sud, il presidente USA ha preannunciato nuove misure protezionistiche che includono semiconduttori e prodotti farmaceutici.
Inoltre, ha anticipato la pubblicazione di due liste distinte di Paesi “critici per il commercio”, in una mossa che ha alimentato la volatilità sui mercati valutari.
- Nuove tariffe annunciate su rame, semiconduttori e farmaci
- Liste di Paesi sotto osservazione commerciale
- Pressioni sulle valute e sui mercati globali
Tuttavia, il driver principale della giornata rimane la pubblicazione dei verbali della Fed, attesa nel corso della sessione. Gli investitori cercano segnali chiari sulle prossime mosse di politica monetaria, dopo che nella riunione di giugno l’istituto centrale ha scelto di mantenere i tassi di interesse fermi nel range 4,25%-4,5%, adottando un approccio attendista in attesa di maggiore visibilità sull’economia americana.
Secondo gli analisti di ING, ci si attende che i membri Bowman e Waller abbiano espresso posizioni più prudenti durante la riunione, ipotesi rafforzata dalle loro dichiarazioni concilianti rilasciate successivamente. Se i verbali confermassero un orientamento più “dovish” del previsto, il dollaro potrebbe indebolirsi, poiché aumenterebbero le probabilità di un taglio dei tassi entro l’estate.
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L’euro arretra su timori di nuove tariffe USA-UE
La tensione sui mercati ha avuto un impatto negativo sull’euro, con il cambio EUR/USD in calo dello 0,2% a quota 1,1703. Il clima di incertezza è stato innescato dalla notizia che il presidente statunitense sta preparando una lettera indirizzata all’Unione Europea, potenzialmente preludio a nuove misure tariffarie.
L’eventuale inasprimento della guerra commerciale transatlantica potrebbe danneggiare tanto la moneta unica quanto il dollaro, secondo alcuni osservatori.
Gli analisti ritengono tuttavia che, salvo sorprese, il mercato continuerà a considerare probabile un accordo tra UE e USA entro la scadenza prevista del 1° agosto. Per questo motivo, EUR/USD potrebbe rimanere confinato nel range compreso tra 1,16 e 1,18, a meno di dati macroeconomici americani sorprendenti.
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Sterlina guadagna terreno, Yen e yuan deboli, stabile il dollaro australiano
In controtendenza, la sterlina britannica ha registrato un rialzo dello 0,2%, portando il cambio GBP/USD a 1,3595. Il Regno Unito risulta essere tra i pochi Paesi ad aver già siglato un accordo commerciale con Washington, rendendolo relativamente isolato rispetto alle nuove minacce protezionistiche.
Nei mercati asiatici, il dollaro USA si è rafforzato nei confronti dello yen giapponese, con il cambio USD/JPY in crescita dello 0,1% a 146,70. Anche lo yuan cinese ha perso leggermente terreno, con USD/CNY salito a 7,1813, a fronte di un lieve aumento dell’inflazione cinese a giugno, sostenuto dai sussidi statali e da una lieve ripresa della domanda interna.
Leggero rialzo per il dollaro australiano (AUD/USD), che ha guadagnato lo 0,1% dopo che la Reserve Bank of Australia ha deciso a sorpresa di mantenere i tassi invariati, lasciando intendere prudenza nei prossimi mesi.
Infine, anche la banca centrale della Nuova Zelanda ha mantenuto invariati i tassi d’interesse, come da attese. Tuttavia, il NZD/USD è salito dello 0,1% a 0,6002 dopo che l’istituto ha lasciato intendere la possibilità di un futuro taglio dei tassi, qualora le pressioni inflazionistiche continuassero a diminuire.
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