Lira turca: trappola o grande opportunità?

Pubblicato da Luca M -

Il 2016 è stato un anno da brividi per la lira turca, alle prese con una lunga serie di elementi pregiudizievoli che ne hanno condizionato l’evoluzione di breve termine. Purtroppo, anche il 2017 dovrebbe poter rappresentare un periodo non particolarmente propizio per gli investimenti nella valuta del Paese di Erdogan, considerato che variabili politiche (e non solo) potrebbero influenzare negativamente la sua tenuta. E così, tra il rincaro del prezzo del petrolio da una parte e i previsti flussi di capitale in uscita, sempre più analisti sembrano essere convinti che la lira turca sarà destinata a indebolirsi ancora nell’anno recentemente iniziato.

Lira Turca

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Il 2016: un anno da dimenticare per la Turchia

Il 2016 non passerà certamente alla storia come un anno particolarmente favorevole per la Turchia. Limitandosi ai soli equilibri socio-politici, possiamo ben ricordare gli strascichi del tentato golpe al governo del leader Recep Tayyip Erdogan, le sue discusse ripercussioni, i numerosi attacchi terroristici che hanno insanguinato le sue strade. Se poi ci estendiamo anche al piano economico, peraltro non certo scollegabile dalle tensioni politiche e geopolitiche, la mente corre a un profondo indebolimento e al declino della sua valuta nazionale: sia sufficiente ricordare come la lira turca abbia perso terreno nei confronti di quasi tutte le valute di controparte, cedendo – ad esempio – il 20% verso il dollaro statunitense.

Il 2017 non sembra essere iniziato meglio

Purtroppo, anche il 2017 non sembra essere iniziato nel migliore dei modi. Nella notte di Capodanno il biglietto da visita è stato rappresentato dal drammatico attentato terroristico di Istanbul, cui hanno fatto poi seguito diversi altri eventi di negativo rilievo. Il risultato è stato un acuirsi del clima di tensione all’interno dei confini del Paese e, d’altro canto, il grave indebolimento della lira turca, che ha continuato a perdere terreno nei confronti del cambio con il dollaro.

Un peso non solo geopolitico

Ad ogni modo, sarebbe errato ritenere che il rischio e la fonte della debolezza della lira turca sia solamente insito nello scenario evolutivo geopolitico. Le determinanti che stanno penalizzando (e penalizzeranno) il corso della valuta sono infatti in buona parte di natura economica. Secondo quanto spiegava pochi giorni fa in un’intervista a Borse.it Vincenzo Longo, analista di IG, “la Turchia è tipicamente un Paese importatore di petrolio e negli ultimi periodi aveva beneficiato del basso costo della risorsa. Tuttavia la recente inversione di tendenza delle quotazioni dell’oro nero, dopo gli accordi fra i produttori Opec e non Opec e la stabilizzazione del prezzo attorno ai 60 dollari al barile potrebbero determinare un rincaro della bolletta energetica nel Paese e provocare ulteriori aumenti dell’inflazione”.

Naturalmente, la soglia dei 60 dollari al barile sembra essere ancora sufficientemente lontana da porre in dubbio il suo concreto raggiungimento nel breve termine. Tutto dipenderà infatti dal rispetto o meno degli accordi in seno all’Opec e, ulteriormente, tra quelli del cartello e l’area non Opec (Russia in primis). Per il momento i presupposti sembrano essere buoni, e le prime settimane di vigore dell’intesa hanno visto un sostanziale rispetto dei nuovi livelli produttivi: considerando però che non è certo la prima volta che si tenta di formalizzare e di rispettare un simile accordo, la prudenza è certamente d’obbligo.

Ad ogni modo, a questi fattori è poi opportuno aggiungere tutti quei fattori di debolezza che non sono certamente specifici per la Turchia, ma sono più che altro comuni per tutta la macro classe dei Paesi emergenti. “Se la Fed dovesse mantenere la promessa di tre rialzi dei tassi d’interesse nel corso del 2017 ciò provocherebbe uno spostamento di capitali dagli emergenti (di cui la Turchia fa parte) a favore degli Usa, con un conseguente peggioramento del deficit delle partite correnti” – dichiara ancora l’esperto. Anche in questo caso, però, la prudenza sembra essere necessaria: il 2016 ci ha infatti insegnato che niente è previsto e prevedibile, e pertanto non è affatto scontato che l’istituto monetario riuscirà a rispettare i propri piani di tre rialzi dei tassi (il primo probabilmente in primavera). Molto dipenderà dal peso della politica fiscale di Trump e, pertanto, dal modo in cui la politica monetaria dell’istituto federale vorrà compensare l’impatto della nuova amministrazione repubblicana.

“L’insieme di questi elementi – conclude infine l’esperto – suggerisce una certa preoccupazione all’interno dei corridoi della Banca centrale nazionale turca, che nel 2017 potrebbe trovarsi in una posizione non facile: da un lato potrebbe cedere alle richieste del Presidente Erdoğan di tagliare i tassi di interesse per sostenere la crescita economica interna del Paese, dall’altro però la ripartenza dell’inflazione dovrebbe suggerire all’istituto maggior cautela per non alimentare ulteriori spinte di inflazione che potrebbero generare stagflazione”.

Insomma, la lira turca è probabilmente una delle valute che varrebbe tenere maggiormente d’occhio nei termini di un potenziale deprezzamento. Vedremo se, nei prossimi mesi, gli elementi sopra esposti verranno o meno mantenuti.

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