Riunione Federal Reserve – 3 novembre 2010

Pubblicato da: Roberto Rossi - il: 02-11-2010 15:54
flag_USA_FOREXI giorni della verità sono arrivati. Le risultanze della riunione che si conclude il 3 novembre della Federal Reserve metteranno fine al lungo tempo delle ipotesi che attorno a essa si sono fatte, a partire da dieci giorni fa almeno. Una manciata di ore ancora e si conoscerà l’entità del “quantitative easing” che la banca centrale americana deciderà di attuare per rinnovare la propria azione di stimolo all’economia.

Nella lunga fase di attesa, il dollaro resta piuttosto debole. Non tanto nei confronti dell’euro, principale rivale notevolmente apprezzatosi nell’ultimo mese e mezzo ma incapace di rimanere a lungo al di sopra della soglia di 1,40, pur restando in “zona”. È soprattutto nei confronti di valute minori che, nella prima parte della settimana in corso, si manifesta la scarsa vena del biglietto verde. Il dollaro australiano ha raggiunto i massimi dal 1983. Uno sprint figlio anche dell’inattesa decisione della Bank of Australia di portare al 4,75% il tasso di interesse di riferimento, aumentandolo di 25 punti base.

Le sorti del dollaro nelle prossime giornate potranno cambiare a seconda di quali saranno le determinazioni del Fomc, il comitato esecutivo per la politica monetaria della Fed. Se gli acquisti della Fed saranno inferiori ai 500 miliardi, ci sarà un aumento degli acquisti di dollari nel breve periodo, sostengono gli esperti.

Ma non ci sono previsioni univoche sul comportamento che Bernanke e colleghi decideranno di tenere. Secondo gli analisti di Goldman Sachs, la Fed potrebbe annunciare un programma graduale di iniezione di fondi spalmato su un periodo di alcuni mesi, ma altri sostengono che ci potrebbe essere un immediato e massiccio intervento, per tentare di arginare la nuova emorragia del settore immobiliare.

In tale contesto si inseriscono anche le elezioni di Mid-term, un banco di prova che il presidente Obama, nei sondaggi, pare avere già perso. Governare senza maggioranza, alla Camera e forse anche al Senato, da qui alla fine del suo mandato, potrebbe portare notevoli conseguenze sulla politica economica della Casa Bianca.


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